“Nun ho fatto gnente e me vò menà…”
risonava ar colleggio delle sore,
mentre er regazzino stava a scappà;
ma, dopo, quanno finiva de core
se sentiva “aja, aja, aja” de strillà.
Nun se pò dì che stavano a discore,
perché lei te lo prenneva da dietro
co’ un piroletto lungo mezzo metro.
Le mani, sotto er braccio, rimpinzava
de bacchettate alla dò cojo cojo.
Dopo stava giorni che nun magnava…
nò, nun se imboccava, era ‘no scojo;
però dalla bujacca se sarvava…
“Ecco -diceva lei- è questo che vojo:
devo sentì quella mosca volà,
e ve dovete sta’ tutti zitti qua”.
Ma era lo stress dell’impegno pesante:
trenta orfanelli da falli filà;
e solo quell’esempio era carzante:
se sentivano le mosche volà;
e la sora beata, in un istante,
co’ l’occhi ar celo prenneva a pregà
come avesse ‘na rosa sulla bocca:
faceva dì er rosario in filastrocca.
Poi venne la maestrina moderna
a facce lezzione dentro la scola,
e ce disse: “…metodi da caverna,
la via di mezzo è una maniera sola,
e non c’è persona che non discerna…”,
quasi er pianto je bloccava la gola.
Poi prenneva lo spirito e l’ovatta…
me lo ricordo de quant’era esatta.
“Bambini, l’igiene, ricordatelo
è da osservare sempre attentamente;
per i germi non dimenticatelo:
lavarsi non è sempre sufficiente.
Da quanti pidocchi, non scordatelo,
vi salva una rasatura decente…
Ecco perchè tutti i capelli a zero…
sentiamo se avete studiato…vero?”.
“Tu -me indicava- tu vieni alla mappa;
dimmi dov’è Milano, un punto fermo…”
“Mae’, l’Italia che stivale…ammappa…”,
-e puntavo er dito verso…Palermo.
Risento lo spirito che se stappa,
me vedo la scena come allo schermo,
e sento ancora quarche sganassone…
poi se puliva le mani ar tampone.
4 maggio 2012