10/21/09
Mi trovo ad incontrare Gaetano:
un viaggio fatto apposta con la mente.
Eccolo, mi dà il cinque con la mano,
e si siede di fronte tra la gente.
Sarà il treno o sarà come sarà,
lo vedo tranquillo, io parlo e mi sente.
“Sai Rino -dico- la sonorità
che hai espresso è talmente popolare,
e sempre qualcuno ti canterà…”.
Mi sorride come per ammiccare,
poi si alza e si avvicina al finestrino;
è lì allo spiraglio per respirare.
Lo vedo da distante, un figurino:
calzoni a tubo, gilet colorato,
e mi emoziona vederlo vicino.
Sì, è lui con quel copricapo calcato
in modo pittoresco sulla testa:
la tuba che l’ha sempre accompagnato.
“Stare tra la gente è sempre una festa-
mi risponde col sorriso nel vuoto-
così ne ho colto il pensiero e le gesta.
Sì, quell’ironia che si mette in moto
quando prevale la rassegnazione:
tutto accade e tutto rimane immoto.
Sì tutto succede, una confusione,
e così di me si può dire…ei fu;
però eccomi qui, con educazione.
Problemi, ma il cielo è sempre più blu,
e poi nella vetrina della vita
sempre gli stessi…nunteregghepiù…
E per me che l’esistenza è esistita,
è rimasta quell’amarezza dentro:
la popolarità non mi è servita.
Difatti, quella notte ero al rientro,
ricordo due giugno dell’ottantuno,
sulla Volvo correvo verso il centro.
Stress e colpo di sonno, salvognuno,
mi trovo lanciato come una bomba
contro un Tir (senza far male a nessuno).
Mi ricordo ancora, tutto rimbomba,
stranamente in agonia il risveglio:
capisco, sento suonare una tromba.
Ma chissà, penso, forse mi andrà meglio,
è l’ambulanza non è il Giudizio;
e lotto per rimanere sveglio.
Però qui comincia il mio supplizio:
penso ai miei cari, mi sento male,
della fine ne avverto…l’inizio.
Nella nottata un posto all’Ospedale:
macchè il Policlinico è esaurito,
si va al San Giovanni, ma è tale e quale.
Bè, vorrei non essere mai esistito…
degli infermieri voci concitate:
“”Dai al San Camillo dai, dai…” hanno insistito.
Ma pure lì chiuse porte e vetrate,
è pericoloso…la vita è bella…
come nò mi sento preso a sassate.
Si va al CTO della Garbatella,
un nome che evoca la cortesia;
chissà se mi assiste la buona stella.
Macchè la buona stella è andata via,
Rino dico sono cavoli seri;
in un lampo penso alla vita mia.
“Dai regà -sento- al San Filippo Neri…”,
ormai le trombe sono più lontane;
penso ai miei cari, agli amici veri.
Un pensiero per Renzo mi rimane,
lo raggiungo, chissà dove sarà;
anche per lui tutte le corse vane.
Gli scrissi “Renzo muore e io sono al bar”,
è proprio così nello stesso modo;
non ho il respiro a questo punto qua.
No non si può dire che me la godo,
però senza retorica davvero,
quando sento suonare lì mi accodo.
Ora è salito Ray in questo Impero (*)
e tra una musica e l’altra vi penso,
e sento per voi un amore sincero.
Le mie canzoni lo hanno questo senso,
finora il mio testamento rimane;
in questo sentimento le condenso.
Tutta l’amarezza di “Escluso il cane”:
e chi mi dice ti amo forse esiste;
l’avevo intuito…parole vane…
C’è un però, c’è gente che però insiste
ad amare gli altri come se stessi;
le cose più belle si sono viste.
Si pensa che ad amare si sia fessi,
ed è la più alta cosa che ci sia;
sulla terra siete ancora malmessi.
Praticare questa filosofia
vorrebbe dire prevenire il male,
e tutto il caos spazzereste via.
Sì dirlo dopo non è originale,
però andarsene così che tristezza:
neanche il cane,mah altrochè il sociale…”.
Ogni tanto la sua onda a quell’altezza,
mi dà l’ispirazione in libertà
non sento lo smog lassù a quella brezza.
Lui non vorrebbe ma è affacciato qua;
ma è tutto come in quel tempo lontano.
E l’ambulanza quanto girerà…
Mi trovo ad incontrare Gaetano,
un viaggio fatto apposta con la mente:
eccolo, mi dà il cinque con la mano:
.
Se n’è andato ma dovunque si sente.
alias vezzagno
(*) Ray Charles