10/15/09
Vedo di frequente un film di Totò,
e mi capita spesso di sognarlo
(da attore), ma questa nottata però
me lo rivedo lì mentre gli parlo.
“Principe -dico, togliendomi il cappello-
per me è rimasto vivo ma ho un tarlo…
(se ci vedono si fa un capannello),
e per parlarle la seguo sul treno…”;
ce l’abbiamo fatta, ecco il campanello.
Lui ha il viso de “‘A livella”, sereno,
ma una smorfia triste, appena accennata:
“Sette, assèttate -mi dice- già, almeno
ci facciamo una bella chiacchierata.
Tiro ‘na cosa ‘a vocca cu ‘e tenaglie,
mi infilo nei sogni nella nottata:
sì, chi nasce more e io nacqui, e daglie;
e sono vecchi i miei ammiratori,
per me non è più tempo di medaglie…”.
Si interrompe e guarda gli aeratori:
” Cos’è? L’adimannà nun è peccato…
questo è come un diciassette, signori.
Lì c’è un sedici bis attaccato,
lui si alza e lo getta dal finestrino;
proprio come nel film interpretato.
” Porta aperta a chi porta -fa al vicino-
è liberato lo scompartimento,
adesso faremo un viaggio divino…”.
Lo guardo di profilo, il naso e il mento,
sembra che il vento abbia soffiato forte,
e li ha spostati come…arredamento.
Poi gli osservo le mandibole storte,
e dice tra se: ” Dio vede e provvede,
fu così che si aprirono le porte.
Divenni una maschera (ma abbi fede),
perchè mi cimentantai nel pugilato;
comunque, quando si eccede si…eccede.
Nel rione Sanità sono nato,
e così nei vicoli popolari
la mia vita di scuola ho frequentato.
Lì c’è quell’aria, quei detti bonari,
di quell’umanità entro cui ho vissuto:
la musicalità, gli intercalari…
Chi se mette per mare ( è conosciuto),
addà sapè prima natà -imparai;
ma ero già il Totò che son divenuto.
Con il nome Clerment incominciai,
dopo aver svolto tutti i lavori;
però essendo imbianchino, ci campai.
Ma sono di febbraio i miei albori,
“frevaro, punente a mare” sta scritto:
soffia il ponentino e sono dolori.
Mi squassava l’arte e non stavo zitto:
facevo gag, macchiette e imitazioni;
poi partivo solenne e dritto dritto:
tutti dietro di me nelle processioni,
anche nelle esequie degli animali;
ero sempre al centro delle attenzioni.
Fà l’Opera d’è Pupe (tali e quali),
sì fare putiferio, fare chiasso;
insomma, per la strada i…Saturnali”.
Nel corridoio accenna qualche passo,
e fa una smorfia con gli occhi all’insù;
col pomo deglutisce e guarda in basso.
Mi chiedo nel sogno se è lui, oh Gesù:
non c’è dubbio un principe d’eleganza;
un linguaggio forbito e anche di più.
Ma ciò che persuade abbastanza
è l’uso del detto napoletano:
come saggezza e come tolleranza.
Intanto il treno ha viaggiato lontano,
però lui è davvero imperturbabile;
un nonno lo indica con la mano
al nipote poi gli parla affabile,
e dice: “Addrizzate tubbo, perbacco…”.
Certo quell’eleganza è notabile
nel treno dov’è un fermento bislacco:
chi s’affaccia guarda e poi se ne va;
chi sbircia nella tendina allo spacco.
L’ambiente è sul trasognato, ecco qua:
la notte balena le luci fioche,
e si allungano ombre su di lui, là.
Al buio le voci le sento roche,
Totò è sulla cuccetta e parla piano,
e di parole ne capisco poche.
Dorme adesso con un rumore strano,
e ne aspetto il suo risveglio paziente;
poi di “Malafammena” accenna un brano.
Al suo risveglio sono lì presente,
e lui mi dice con un bel sorriso:
“Nella vita l’ammore è tutto e…niente.
Chi nun tocca nun prova (fai buon viso),
ma dentro ti dilania una tempesta,
e se ti ricambia sei in paradiso.
Si esplora un altro essere nella testa,
si entra nel suo cuore, nel sentimento,
si vive all’unisono sempre in festa”.
Adesso il Principe tace un momento,
e da dentro il libro della “Livella”
estrae delle foto: “Ecco, mi pento
se per distrazione ho spento una stella;
però nell’aldilà ho chiarito tutto
con la Liliana Castagnola, che bella.
Un grande amore che, poi, mi ha distrutto:
‘A morte a chi acconcia e chi sconceca;
ancora da quassù ne sento il…lutto.
Affascinante come una dea greca:
arrivò da noi nel napoletano,
con la fama dell’amante che acceca.
E’ inseguita dai regnanti invano,
e chi l’ha conosciuta ne è sconvolto:
impazzisce e commette un atto insano.
Già, di questo se ne parla molto
nell’ambiente e come di una guerriera:
un fulmine e il cuore ne era sciolto.
Ero al Teatro Nuovo e una sera
lei stava in prima fila. Era una luna:
io sono caduto come una pera.
Emanava un alone, bella e bruna,
donna aggrazziata vò essere pregata:
mandai cento rose. Un melone l’una.
“Liliana è la rosa più profumata
del bouquet -le scrissi- sono incantato”;
lei nella risposta si è affrettata.
“L’intero giardino avete mandato-
rispose- ma prima che appassiranno,
vorrei che ogni fiore sia rimpiazzato.
Le canzoni per voi risuoneranno,
sabato lì al Santa Lucia vi aspetto;
spero nel vostro cuore arriveranno”.
E qui cominciò un amore perfetto,
che noi condividemmo in tutto, ma
sul più bello comparve un diavoletto…
La lettera anonima: chi sarà?
Un’altra ancora e poi telefonate
contro la Liliana. Da chi altri va?
E le cose si sono complicate:
è subentrata la sua gelosia;
poi le assenze si sono moltiplicate.
Così arrivammo a cercare una via:
per restrare più spesso insieme,
chiese di stare nella Compagnia.
“Nemmeno la mia carriera mi preme-
mi scrisse più lettere appassionate-
ti ubbidirò anche a condizioni estreme.
Le velleità le ho abbandonate,
sarò tua allieva, non sarò Vedetta…”,
ma le carte oramai erano firmate.
Per una tournè, tournè maledetta:
no Liliana cara, Liliana cara…
nell’incubo l’ho vista…aspetta…aspetta…
Al risveglio la vicenda più amara:
Liliana non doveva più soffrire;
e nella mia tomba c’è la sua…bara.
Quanto ho sofferto non lo posso dire:
ho cercato di raggiungerla in cielo;
poi il suo amore ho voluto rinverdire.
Dentro avevo di Liliana lo stelo,
e fiorì per…Diana: esplose al pensiero
fino a vederla al mio fianco col…velo.
Mettere ‘a capa a fabène davvero:
la famiglia cresceva con amore,
ma non cancellò quel momento nero.
E, difatti, per darle più valore
abbiamo dato alla nostra figliola
il nome di Liliana: col batticuore”.
Lascia nell’eco l’ultima parola,
e si accarezza il viso pensieroso.
“Certo l’esistenza è come una scuola-
mi dice dentro il treno rumoroso-
e ogni giorno di vita ho imparato
che sott’ò cielo c’è triste e spassoso.
Però ‘o sentimento con l’uomo è nato,
e si aggiunge a tutti quelli vissuti:
ogni amore nuovo è moltiplicato.
Sule -qui si ferna ed emette tre starnuti-
manche ‘mparavise se sta bbuone…”,
aggiunge con l’alfabeto dei muti.
Il treno fa tappa ad una stazione,
ombre percorrono la pensilina:
è come un film, una recitazione.
“Ecco -qui riprende- la mia bambina,
è stata chiusa come collegiale:
che strazio ha sopportato, poverina.
Cammenà pe’ i trentasei casale,
con la mamma non si trovava accordo;
che tristezza e ricordarlo non vale.
Ma quella bimba triste non la scordo:
la pensavo ovunque, penza e pò fa;
ecco, anche quassù così la ricordo.
Una bambina piena di bontà,
che ha visto i genitori litigare:
Liliana-bella ci perdonerà.
E venne una ragazza d’oltremare,
era stata in America, italiana:
una foto mi ha fatto innamorare.
Su di un giornale della settimana
vi comparve tra i suoi genitori:
l’attrazione, la forza sovrumana.
Come cogliere in un fiore gli odori,
come riassaporare la vita,
come raccogliere tutti gli amori.
Franca, l’ultima fata ch’è esistita:
lei, nu’ chiovo ‘ncapa per non morire
è l’ultimo elisir tra le mie dita…”.
C’è una pausa che non so riempire,
aggiunge qualcosa e ascolto meglio…
l’odor di caffè mi par di sentire
mentre mi saluta Totò e mi sveglio.
alias vezzagno